Università degli Studi di Napoli Federico II

Dipartimento di Studi umanistici

Sezione di Filologia moderna: italianistica, letterature europee e linguistica

 

 I nostri antenati


Vittorio Imbriani

(Napoli, 1840 - Pomigliano d’Arco, 1886)

Dal 1863 al 1866, e saltuariamente in anni successivi, tiene all’Università di Napoli corsi liberi di estetica e di letteratura tedesca come professore privato, nel 1872 un corso sulla poesia popolare italiana, dal 1872 al 1878 corsi danteschi; nel 1884 è chiamato sulla cattedra di Estetica, ma deve rinunciare per le sue condizioni di salute

Michele Lenzi, Ritratto di V. I., 1885 (Napoli, Museo di San Martino)

A nove anni segue il padre Paolo Emilio, liberale condannato a morte in contumacia, in esilio a Nizza e poi a Torino: qui conosce De Sanctis, di cui frequenta le lezioni. Continua gli studi  a Zurigo, ancora con De Sanctis, e a Berlino, dove la lettura di Hegel lo trasforma in un monarchico assolutista: inevitabile la rottura con il maestro e il conflitto con il padre, da cui dipenderà economicamente fino a una dozzina di anni prima della morte. Tornato a Napoli dopo un soggiorno a Parigi, lavora come giornalista e comincia una confusa carriera accademica, tenendo corsi liberi di estetica, di letteratura tedesca e di letteratura italiana. Nel 1866 partecipa come garibaldino alla terza guerra di indipendenza, ma alla battaglia di Bazzecca è catturato e trascorre una breve prigionia in Croazia. Conosce intanto a Gallarate, dove è di stanza il suo battaglione, la nobildonna Eleonora Bertini, separata in casa dal marito Luigi Rosnati, e ne diventa l’amante. Stabilitosi a Pomigliano d’Arco, in una proprietà finalmente elargitagli dal padre, continua a frequentare l’amante e fa da precettore, anche per via epistolare, alle sue due figlie, finché, nel 1878, la lascia per sposarne la figlia più piccola. Gli ultimi anni sono segnati da una malattia che lo renderà paralitico e da una scottante sconfitta accademica: la cattedra di Letteratura italiana, che era stata di Settembrini, gli viene negata (e assegnata invece a Zumbini) da una commissione che Imbriani riteneva ostile, avendo ridicolizzato in alcuni scritti le opere di due dei cinque commissari (Aleardi e Zanella). Nel 1884, alla morte di Antonio Tari, è chiamato sulla cattedra di Estetica, ma non può tenere nemmeno una lezione per la sua grave invalidità. Si spegne il 1° gennaio 1886.

Narratore di fisionomia espressionistica, in particolare con i romanzi Merope IV (1867) e Dio ne scampi dagli Orsenigo (1876), poeta sperimentatore di metri neoclassici di tipo oraziano, Vittorio Imbriani, «bizzarro ingegno» secondo Alessandro D’Ancona, riabilitato autorevolmente nel Novecento da Croce e da Contini, fu un irregolare anche come studioso. I suoi interessi spaziano dalla «demopsicologia» (termine da lui creato e poi ripreso dall’antropologo Giuseppe Pitré), consistente, in sostanza, nello studio dei canti e della narrativa popolare (fiabe, racconti), di cui fu instancabile raccoglitore e ‘stenografo’ (con un eccesso di fedeltà che gli fu rinfacciato proprio dai filologi), alla critica militante e a una vulcanica attività giornalistica (fu tra l’altro direttore del quotidiano La Patria) fino all’erudizione delle ricerche dantesche (si deve a lui l’etichetta di «rime petrose»). Queste furono avviate dopo una ventennale astinenza da Dante seguita alla diligente acribia con la quale negli anni 1854-55 aveva frequentato il corso dantesco tenuto da De Sanctis a Torino nel Collegio San Francesco di Paola: una sorta di periodo di decantazione, innescato dalla rottura con il venerato maestro, che sfociò nell’elaborazione, in ambito dantesco, di un metodo critico che ribaltava quello estetico desanctisiano. Quest’ultimo, come si sa, considera la creazione poetica quasi un blocco compatto, un organismo vivo, che il critico ricrea in sé ripercorrendone lo sviluppo datogli dal poeta, e prescindendo dai contenuti astratti (le situazioni politiche, sociali, morali, culturali, ecc.). Per Imbriani, al contrario, la forma dantesca è uno schermo trasparente il cui godimento estetico è subordinato alla possibilità di recupero dei contenuti astratti, e neanche dei più elevati, bensì di quelli afferenti alla sfera della psicologia e dell’esistenza quotidiana. I suoi studi danteschi, tuttavia, per l’eccesso di polemica che animò le sue recensioni (soprattutto quella sull’esilio di Dante di Isidoro Del Lungo del 1881), furono dapprima boicottati e successivamente rigettati dal dantismo ufficiale: l’atto di morte fu vergato da Renier nel 1891 con una stroncatura impietosa e liquidatoria.

Bibliografia essenziale. — Dell’organismo poetico e della poesia popolare italiana. Sunto delle lezioni dettate nei mesi di febbraio e marzo 1866 nella Regia Università Napoletana, Napoli 1866; Canti popolari delle provincie meridionali, raccolti da Antonio Casetti e V. I., 3 voll., Torino 1871-1872; XII conti pomiglianesi, illustrati da V. I., Napoli 1876; La novellaja fiorentina: fiabe e novelline stenografate in Firenze dal dettato popolare da V. I., Livorno 1877; Fame usurpate. Quattro studii, Napoli 1877; Appunti critici, Napoli 1878; Sulle canzoni pietrose di Dante, Bologna 1882; Epicedii del Kant [traduzioni commentate di testi in versi di Kant], Napoli 1884; Studi danteschi, Firenze 1891; Studi letterari e bizzarrie satiriche, a cura di B. Croce, Bari 1907; Critica d’arte e prose narrative, a cura di G. Doria, Bari 1937; Carteggi di Vittorio Imbriani, a cura di N. Coppola, 3 voll., Roma 1963-1965. ~ Opere in rete (anche gli Epicedii, i romanzi ecc.).

[A. Fratta]


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11.5.2011