Chrétien de Troyes

 

 

 

 

I.

D’Amors, qui m’a tolu a moi,

n’a soi ne me veut retenir,

me plaing ensi, qu’adés otroi

que de moi face son plesir.                           

Et si ne me repuis tenir

que ne m’en plaigne, et di por quoi:

car ceus qui la traïssent voi

souvent a lor joie venir

et g’i fail par ma bone foi.                            

 

II.

S’Amors pour essaucier sa loi

veut ses anemis convertir,

de sens li vient, si com je croi,

qu’as siens ne peut ele faillir.                       

Et je, qui ne m’en puis partir

de celi vers qui me souploi,

mon cuer, qui siens est, li envoi;

mes de noient la cuit servir

se ce li rent que je li doi.                               

 

III.

Dame, de ce que vostres sui,

dites moi se gre m’en savez.

Nenil, se j’onques vous conui,

ainz vous poise quant vous m’avez.               

Et puis que vos ne me volez,

dont sui je vostres par ennui.

Mes se ja devez de nului

merci avoir, si me souffrez,

que je ne sai servir autrui.                             

 

IV.

Onques du buvrage ne bui

dont Tristan fu enpoisonnez;

mes plus me fet amer que lui

fins cuers et bone volentez.                           

Bien en doit estre miens li grez,

qu’ainz de riens efforciez n’en fui,

fors que tant que mes euz en crui,

par cui sui en la voie entrez                            

donc ja n’istrai n’ainc n’en recrui.                  

 

V.

Cuers, se madame ne t’a chier,

ja mar por cou t’en partiras:

tous jours soies en son dangier,

puis qu’empris et comencié l’as.                    

Ja, mon los, plenté n’ameras,

ne pour chier tans ne t’esmaier;

biens adoucist par delaier,

et quant plus desiré l’auras,

plus t’en ert douls a l’essaier.                       

 

VI.

Merci trovasse au mien cuidier,

s’ele fust en tout le compas

du monde, la où je la quier;

mes bien croi qu’ele n’i est pas.                   

Car ainz ne fui faintis ne las

de ma douce dame proier:

proi et reproi sanz esploitier,

comme cil qui ne set a gas

Amors servir ne losengier.                                               

 

[I. Di Amore, che mi ha tolto a me stesso e con sé non mi vuole tenere, io mi lamento, eppure permetto che di me faccia ciò che vuole. Non posso però trattenermi dal lamentarmene, e dico perché: perché vedo che coloro che lo tradiscono raggiungono spesso la loro gioia, mentre io non riesco in ciò con la mia fedeltà.    II. Se Amore, per esaltare la sua legge, vuole convertire i suoi nemici, la logica impone, così credo, che non possa venir meno ai suoi fedeli. E io, che non posso separarmi da colei a cui sono sottomesso, le invio il mio cuore, che le appartiene; ma di niente credo di farle dono, se le restituisco ciò che le devo.    III. Dama, ditemi se vi è gradito che io sia vostro. Certo no, se vi conosco bene; anzi vi è di fastidio che vi appartenga. E poiché non mi volete, vi appartengo vostro malgrado. Ma se mai dovete avere pietà di qualcuno, sopportatemi, perché io non posso servire nessun’altra.    IV. Io non ho mai bevuto il filtro da cui fu avvelenato Tristano; ma più di lui mi fa amare cuore puro e retta volontà. E ben me ne tocca il merito, perché non vi sono stato costretto da niente se non che ho creduto ai miei occhi, attraverso i quali sono entrato in una via da cui non uscirò mai, né mai sono tornato indietro.    V. Cuore, se la mia dama non ti ha caro, non per questo tu la lascerai: sii sempre in suo potere, dal momento che così hai cominciato a fare. Mai, in fede mia, amerai l’abbondanza, né devi spaventarti per la carestia. Un bene diventa dolce se ritarda, e quanto più l’avrai desiderato tanto più ti sarà dolce gustarlo.    VI. Io penso che avrei trovato pietà là dove la cerco, se pietà esistesse in tutto il cerchio del mondo; ma so bene che non esiste. Però non ho mai smesso né mi sono stancato di pregare la mia dolce dama: io la prego e la riprego senza ottenere niente, come colui che non sa servire Amore per gioco né sa ingannarlo.]

 

Ed. Marie-Claire Zai, Les chansons courtoises de Chrétien de Troyes, Berne-Francfort/M., 1974.