Blocco note
Mester traigo fermoso, non es de joglaría
mester es sin pecado, ca es de clerezía
fablar curso rimado por la cuaderna vía
a sílabas cuntadas, ca es grant maestría.
Libro de Alexandre, vv. 5-8
Así commo ha muy grant plazer el que faze
alguna buena obra, señaladamente si toma grant trabajo e[n] la faz[er],
quando sabe que aquella su obra es muy loada et se pagan della mucho las
gentes, bien así ha muy grant pesar et grant enojo quando alguno, a
sabiendas o aun por yerro, faze o dize alguna cosa por que aquella obra
non sea tan preciada o alabada commo devía ser. Et por probar aquesto,
porné aquí una cosa que acaeció a un cavallero en Perpinán en tiempo del
primero rey don Jaimes dr Mallorcas.
Así acaeçió que aquel cavallero era muy
grant trobador et fazíe muy buenas cantigas a marabilla, et fizo una muy
buena además et avía muy buen son; et atanto se pagavan las gentes de
aquella cantiga que des[d]e grant tienpo non querían cantar otra cantiga
sinon aquélla, et el cavallero que la fiziera avía ende muy grant
plazer. Et yendo por la calle un día, oyó que un çapatero estava
diziendo aquella cantiga, et dezía tan mal erradamente, también las
palabras commo el son, que todo omne que la oyesse, si unte non la oyíe,
ternía que era muy mala cantiga et muy mal fecha.
Quando el cavallero que la fiziera oyó cómmo
aquel çapatero confondía tan buena obra commo [aquélla], ovo ende muy
grant pesar et grant enojo, et descendió de la bestia et asentóse cerca
dél. Et el çapatero, que non se guardava de aquello, non dexó su cantar,
et quando más dezía, más confondía la cantiga que el cavallero fiziera.
Et desque el cavallero vio su buena obra tan mal confondida por la
torpedat de aquel çapatero, tomó muy passo unas tiseras et tajó quantos
çapatos el çapatero tenía fechos, et esto fecho cavalgó et fuesse. Et el
çapatero paró mientes en sus çapatos, et desque los vido así tajados
entendió que avía perdido todo su trabajo; ovo grant pesar et fue dando
vozes en pos aquel cavallero que aquello le fizieria. Et el cavallero
díxole: «Amigo, el rey nuestro señor es aquí, et vós sabedes que es muy
buen rey et muy justiçiero; et vayamos anté et líbrelo commo fallare por
derecho».
Anbos se acordaron a esto, et desque legaron
antel rey, dixo el çapatero cómmo le tajara todos sus çapatos et le
fiziera grant daño. El rey fue desto sañudo, et preguntó al cavallero si
era aquello verdat, et el cavallero díxole que sí, mas que quisiesse
saber por qué lo fi[zi]era. Et mandó el rey que [lo] dixiesse; et el
cavallero dixo que bien sabía el rey que él fiziera tal cantiga que era
muy buena et abía buen son, et que aquel çapatero gela avía confondida,
et que gela mandasse dezir. Et el rey mandógela dezir, et vio que era
así. Entonçe dixo el cavallero que, pues el çapatero confondiera tan
buena obra commo él fiziera, et en que avia tomado grant dapño et afán,
que así confondiera él la obra del çapatero. El rey e quantos lo oyeron
tomaron desto grant plazer et rieron ende mucho; et el rey mandó al
çapatero que nunca di xiesse aquella cantiga nin confondiesse la buena
obra del cavallero, et pechó el rey el daño al çapatero et mandó al
cavallero que non fiziese más enojo al çapatero.
Et recelando, yo, don Johan, que por
razón que non se podrá escusar, que los libros que yo he fechos non se
ayan de trasladar muchas vezes, et porque yo he visto que en el
transladar acaeçe muchas vezes, lo uno por desentendimiento del
scrivano, o porque las letras semejan unas a otras, que en transladando
el libro porná una razón por otra, en guisa que muda toda la entençión
et toda la suma, er será traído el que la fizo non aviendo y culpa, et
por guardar esto quanto yo pudiere, fizi fazer este volumen en que están
scriptos todos los libros que yo fasta aquí he fechos, et son doze.
[...]
Juan Manuel, Prólogo general
Trama del Libro de buen amor (da Blecua
1992)
Orazione a Dio e alla Vergine (1-10): chi parla chiede di essere
liberato dalla prigione.
Prologo in prosa e Prologo in versi. Dice di
chiamarsi Juan Ruiz e di essere arciprete di Hita (19). Hita è tra
Saragozza e Madrid (a 80 km a est di Madrid).
Dedica alcune cantigas alla Vergine, poi
insiste sul significato, letterale o allegorico, che può avere l’opera.
L’azione comincia a 71. Il protagonista è un
arciprete (come di sé dice di essere l’autore), ma di un luogo non
nominato, e racconta in forma autobiografica i suoi amori in circa 7000
versi, in gran parte cuaderna vía.
Con l’aiuto di una vecchia ruffiana, si lega
a una dama cuerda ‘assennata’, cioè piena di senno cortese, che
però alla fine lo rifiuta (77-104).
Poi si innamora di Cruz, una panettiera poco
onesta, con l’aiuto di un compagno come messaggero, Ferrán García, ma
sarà proprio il messaggero e non l’arciprete a essere corrisposto dalla
donna (105-122).
Poi corteggia un’altra donna onesta, che lo
rifiuta (166-180).
Segue un lungo dibattito con don Amor, in
cui don Amor gli dà istruzioni su come conquistare le donne (181-575).
Successivamente si innamora della giovane
vedova doña Endrina con l’aiuto della vecchia ruffiana Trotaconventos,
riesce a ottenerne i favori e alla fine la sposa. Però a questo punto
scopriamo che, pur restando identico l’io narrante, ora si chiama Melón
Ortiz (576-909). C’è dunque come uno sdoppiamento del protagonista,
giustificato dal fatto che don Melón sarebbe un personaggio esemplare.
Poi l’arciprete si innamora di una giovane
che riesce a conquistare grazie a Trotaconventos, ora chiamata con il
nome di Urraca. La giovane però muore dopo pochi giorni (910-944).
Ripresosi dal dolore, il 25 marzo il
protagonista si mette in viaggio per la Sierra de Guadarrama, dove ha
quattro avventure amorose con altrettante serranas, pastore di montagna
muscolose e selvagge.
La prima, la Chata, lo violenta (951-971).
Decide allora di passare tre giorni a
Segovia e di tornare a casa , ma in un valico di montagna un’altra
serrana, Gadea de Riofrío, gli usa anche lei violenza (972-992).
Prosegue il viaggio e incontra una terza
pastora che lo scambia per un pastore. Non si capisce se stavolta sia
lui a sedurre la giovane, ma alla fine riesce ad andarsene con una falsa
promessa di matrimonio (993-1005).
Infine, in cima a una montagna, incontra la
quarta serrana, Alda, che lo rifocilla e con la quale non succede niente
(1022-1042).
Viene a questo punto inserita una cantiga
alla Vergine (1043-1067).
Poi si ferma a Burgos. Mentre sta mangiando
con don Jueves Lardero, riceve una lettera da doña Cuaresma indirizzata
«a todos los arciprestes y clérigos sin amor» con cui si ordina a questi
la divulgazione di un cartello di sfida contro don Carnal. Segue la
battaglia tra Quaresima e Carnevale, con il loro seguito di pesci e di
carni. Carnevale è sconfitto e imprigionato, ma poi fugge e Quaresima
parte in pellegrinaggio per Gerusalemme (1068-1224).
Il giorno di Pasqua gli strumenti musicali e
gli ordini religiosi vanno incontro a don Amor e tutti si offrono di
alloggiarlo. Don Amor alza invece un padiglione in un prato e va a
tavola con dodici cavalieri, che sono i mesi dell’anno (1228-1300).
Poi don Amor parte per Alcalá, dopo aver
conversato con l’arciprete (1301-1314).
L’arciprete a questo punto torna a cercare
l’amore. Una vedova lozana ‘gagliarda, superba’ lo rifiuta
(1315-1320).
In una chiesa si innamora di una donna che
però si sposa con un altro (1321-1331).
Trotaconventos gli raccomanda allora una
monaca, doña Garoza, con cui intrattiene un amore puro, ma la monaca
muore due mesi dopo (1332-1507).
Trotaconventos gli propone una mora, che
però lo liquida in malo modo (1508-1512).
Poi ci viene detto che l’arciprete si dedica
a comporre cantigas di vario tipo (1513-1519).
A questo punto c’è un planctus per la
morte di Urraca e una digressione su come ci si deve difendere dai
peccati (1520-1605).
Segue un elogio delle donne chicas
‘piccole’ di statura (1606-1617).
All’inizio della primavera il protagonista
si mette di nuovo in cerca dell’amore con un nuovo messaggero, il
vizioso don Hurón, che però non riesce a procurargli l’amore di doña
Fulana (1618-1625).
Il libro si conclude con un epilogo e alcune
cantigas alla Vergine. Nei manoscritti seguono alcune composizioni
satiriche che sembrano dello stesso autore ma suonano estranee alla
struttura dell’opera.
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