 |

Università degli Studi di
Napoli Federico II
Dipartimento di Studi
umanistici
Sezione di Filologia moderna:
italianistica, letterature europee e linguistica
I
nostri antenati
Francesco De Sanctis
(Morra Irpina [oggi M. De
Sanctis] ,
1817 - Napoli, 1883)
Docente di materie letterarie,
storiche e filosofiche a Napoli in scuole private e nelle scuole militari di
San Giovanni a Carbonara e della Nunziatella; precettore a Cosenza; docente
in una scuola privata femminile a Torino e titolare di un libero corso su
Dante all’Università; professore di Letteratura italiana
al Politecnico di Zurigo; professore di Letteratura comparata
all’Università di Napoli dal 1872 al 1876, quando lasciò
l’insegnamento per un incarico ministeriale
Saverio Altamura, Ritratto di F. De S., 1890
(Napoli, Museo di San Martino) |
 |
L’esperienza universitaria di Francesco De Sanctis
nell’Ateneo napoletano è limitata agli anni dal 1872 al 1876, ma è ben noto
che intorno a Napoli gravita gran parte della formazione e dell’operosità
culturale del grande critico irpino: dai corsi frequentati, adolescente,
nelle scuole dello zio Carlo Maria e degli abati Fazzini e Garzia,
all’incontro decisivo col purista Basilio Puoti, che aiutò il giovane
allievo a divenire, nel 1839, professore prima alla Scuola militare
preparatoria di San Giovanni a Carbonara, poi, dal 1841, nel Collegio
militare della Nunziatella. Negli stessi anni (1838-1848) De Sanctis cura,
al vico Bisi (ora via Nilo), i corsi di quella che sarà denominata la «prima scuola
napoletana» (la «seconda scuola» sarà appunto quella degli anni ’70). Le
drammatiche conseguenze dell’impegno politico nei moti del ’48, culminate
nella lunga prigionia patita al Castel dell’Ovo fino al 1853, lo costringono
all’esilio. Tra il 1853 e il 1860 De Sanctis terrà i suoi celebri corsi
all’Università di Torino (1853-1856) e al Politecnico di Zurigo (1856-1860),
incentrati soprattutto sulla Commedia. Solo con l’Unità De Sanctis fa
ritorno in patria, dove si impegna in una fervida, intensissima attività
politica (governatore della provincia di Avellino, deputato al Parlamento,
ministro della Pubblica Istruzione) e prosegue nello stesso tempo il
disegno, già precedentemente formulato, di ricostruire il complesso della
storia nazionale italiana attraverso il filtro della sua tradizione
letteraria, dalle Origini all’età contemporanea. Sarà questo il nucleo
essenziale della sua opera capitale, la Storia della letteratura italiana,
pubblicata nel 1870 presso l’editore napoletano Morano. Le alterne vicende
della politica italiana post-unitaria determinano, nel 1872, il suo ritorno
all’insegnamento, finalmente professore nell’Ateneo della sua città: dedica
la prolusione del primo anno a «La scienza e la vita» e indirizza
prevalentemente i suoi interessi verso la letteratura contemporanea
(Manzoni, la scuola cattolico-liberale, la scuola democratica, Leopardi).
I temi ‘militanti’ dei corsi napoletani suggeriscono
che forse mai come nel caso di De Sanctis è necessario procedere ad un
salutare sfrondamento di quell’aura pressoché mitica che ne circonda la
figura intellettuale, come raccomandava già Contini sulla soglia di un suo
celebre intervento. La «storicizzazione» di De Sanctis varrà a porre in
rilievo la natura engagé delle sue operazioni, quel «fervore
appassionato dell’uomo di parte, che ha saldi convincimenti morali e
politici e non li nasconde e non tenta neanche di nasconderli», che provocò
l’entusiasmo del marxista Gramsci. La progressiva ideologizzazione, maturata
come risposta a precise circostanze storico-politiche, che caratterizza il
disegno della Storia, non mette in discussione la fruibilità dei
saggi critici desanctisiani (che oltretutto spaziano ben oltre i confini
della letteratura nazionale, come dimostra tra l’altro il titolo della
cattedra tenuta presso l’Ateneo napoletano) e poggia in ogni caso su alcuni
«accettati teoremi» fissati in una lunga riflessione speculativa: il
concetto di «forma» come sinolo indissolubile di espressione e contenuto che
si realizza negli esiti della poesia autentica (sarà questa la linea guida
della successiva riappropriazione crociana); la distinzione tra «mondo delle
intenzioni» e «mondo della realtà»; la contrapposizione «artista»/«poeta».
Avverso, almeno nelle dichiarazioni esplicite, a ogni gabbia sistematica
troppo rigida e incline sempre all’analisi testuale ravvicinata, pure il De
Sanctis sembra in un primo tempo funzionalizzare la propria attività
esegetica alla messa a punto problematica di un’estetica generale, che
risente, di volta in volta, ma sempre con inquieto eclettismo, delle lezioni
di Hegel, di Vico, degli illuministi francesi e italiani, infine del
nascente positivismo. De Sanctis individua i due fronti contrapposti dei
«retori» e dei «filosofi»: i rappresentanti della vecchia scuola
classicistica contro i nuovi assertori della prevalenza delle «idee», dei
concetti generali nell’indagine sui testi letterari. Essenziale è
l’incarnarsi delle idee in «cose», non in concetti astratti, in «persone»
non in «personificazioni», in elementi rappresentativamente ed emotivamente
unitari, irriducibili alle loro astratte componenti. Ciò premesso, il valore
di un’opera viene fatto dipendere anche dalla misura in cui in essa si
riflette e si incarna lo spirito dell’età che l’ha prodotta, dalla portata
cioè della «situazione» (altro termine-chiave della riflessione
desanctisiana) in essa concretamente operante.
Infaticabilmente argomentato con le risorse di una
prosa incisiva e insieme colloquiale, dilatata e assertiva e sfruttando le
formidabili doti del polemista, il nocciolo essenziale di questo abbozzo di
estetica nega ogni pertinenza, in sede di giudizio, a indagini
specialistiche o settoriali (teoria dei generi, studio delle fonti, analisi
linguistico-retoriche, rilievi storico-sociologici, e così via), tanto più
quando pretendono di porsi come chiavi esclusive per la valutazione delle
opere. La legittimità del giudizio nasce da una misteriosa consanguineità,
da un’arcana intesa tra il critico e l’autore, tra l’opera e
l’interpretazione; la valutazione della riuscita e del valore (come forse è
fatale per qualsiasi estetica) è demandata al gusto inappellabile del
privilegiato fruitore. Insomma, riprendendo una formula dello stesso De
Sanctis, contrassegno del perfetto atto poetico è «l’idea ... tutta calata
nella realtà della vita». Qui è evidente lo sforzo di conciliare diverse
spinte e quasi diverse istanze primarie che stentano a convivere ed
armonizzarsi in sede di formulazione organica e che fanno valere, con
qualche travaglio, i loro diritti, prima delle scelte strategiche della
grande ricostruzione storico-identitaria della nazione attuata nella
Storia. A sintetizzare la quale, basterebbe richiamare il duro contrasto
che De Sanctis organizza sapientemente tra il finale del capitolo VII e
l’inizio del successivo, dedicati rispettivamente alla Commedia e al
Canzoniere petrarchesco. Qui ogni ambiguità pare dissolta: in questo
punto capitale il contrasto deve farsi netto, assoluto, le posizioni devono
essere inconciliabilmente differenziate. Il finale ritratto di Dante è un
crescendo inarrestabile di esaltata euforia critica: addirittura nelle
ultimissime parole del capitolo la poesia di Dante viene additata, sfiorando
il paradosso, come modello di «quel mondo, che ... si chiama oggi
letteratura moderna»; e dalle vesti del critico e dello storico spunta
l’animo del promotore di una nuova cultura e di una nuova coscienza, che
subordina pragmaticamente ai suoi fini ogni oggetto d’indagine. Subito dopo,
infatti, alla fine della breve premessa al capitolo VIII, ecco il celebre
controcanto, l’inizio dei secoli bui, del prevalere dell’«arte» sulla
«poesia», della «forma» sulla «materia».
Come critici insigni hanno di recente sottolineato,
l’ispirazione e, conseguentemente, la logica che presiedono alla concezione
e al progetto della Storia sono, per alcuni aspetti, decisamente
provocatorie, ma non si smette di ammirarne la ardimentosa intenzione
strategica. Il profondo ripensamento cui vanno sottoposte oggi le ipotesi di
De Sanctis non può occultarne l’eccezionale valore e l’ineguagliata
influenza su tutta la storiografia letteraria italiana del secolo scorso.
Gli allievi diretti delle «due scuole» napoletane di De Sanctis, se si
esclude Francesco Torraca studente dei corsi universitari del 1872-1876,
furono piuttosto storici e uomini politici, come è possibile accertare
nell’utilissima Appendice («Testimonianze biografiche di amici e discepoli»)
all’edizione einaudiana de La giovinezza
(Torino 1961). Il giovane collega nell’Ateneo napoletano Francesco D’Ovidio,
occasionale frequentatore di alcune lezioni, testimonia, nel suo sapido,
talora persino velenoso ricordo Francesco De Sanctis conferenziere e
insegnante, le riserve subito intervenute sul metodo del maestro nel
rinnovato clima degli studi storico-filologici tra Otto e Novecento.
Bibliografia essenziale. — Le Opere complete di De Sanctis sono
pubblicate in due distinte edizioni (entrambe incomplete) ispirate, con
molto equilibrio, la prima, presso Laterza (11 voll., Bari 1952-62), diretta
da L. Russo, alla rilettura crociana; la seconda, presso Einaudi (22 voll.,
Torino 1951-93), diretta da C. Muscetta, alle riflessioni dei
Quaderni gramsciani.
~
Opere in rete.
[C. Calenda]
|
Indice dei nomi
Indice
cronologico
Indice per
discipline |
5.1.2011 |