Iacopo
I.
Così afino ad amarvi
com’auro a la fornace,
ch’afina pur ardendo
senza veder guardarvi.
Donna, già non vi piace 5
lo mio affannar piangendo:
bagnandomi lo viso,
pianger mi torna riso
e d’ira mi discorda;
la dolz’agua m’acorda piange·ridendo. 10
II.
Molto mi riconforta
che credo ca vi doglia
che ’l geloso a l’anghiare
io vidi far la scorta,
che del morir m’avoglia. 15
Lasso!, che dëo fare?
ch’Amor mi dona foco,
dolor mi reca in gioco
e sollazo, che more
vivendo lo mi’ core in ben amare. 20
III.
Amato son io forte
d’amor sanza podere:
farà süa spotenza
che poter à più forte.
Lingua non poria dire, 25
per mïa penitenza:
«Dolze amore, o amata».
Lasso!, perch’ell’è data,
mia speranza m’aluma,
disïar mi consuma, fisar m’agenza. 30
IV.
Umilmente, lamento,
và e sali a castello
ove son le bellezze,
dille ch’ò pensamento
poter esser augello 35
per veder suoe altezze;
andrò sanza richiamo
a·llei che tegno e bramo
com’astore a pernice:
caldo e fred’o·mi dice far contezze. 40
V.
«Per aver gioia intera,
del valor non temere:
ad onta del follaggio
del sol pigliarmi spera,
per forza il vo’ tenere, 45
non compi’ e’ suo vïaggio,
ch’afini nostro gioco,
con’ voglia amorta foco
Amor pur acendendo.
’N om pianger vien ridendo, e sia saggio». 50
Ed. Aniello Fratta, in I poeti della Scuola siciliana, vol. II. Poeti della corte di Federico II, edizione critica con commento diretta da Costanzo Di Girolamo, Milano, Mondadori (I Meridiani), 2008.