Arnaut Daniel
1 Pus Raimons e Truc Malecx
2 chapten n’Enan e sos decx,
3 e ieu serai vielhs e senecx
4 ans que m’acort en aitals precx
5 don puesca venir tan grans pecx:
6 al cornar l’agra mestier becx
7 ab que traisses del corn los grecx;
8 e pueis pogra leu venir secx
9 que·l fums es fortz q’ieis dinz dels plecx.
10 Ben l’agr’ops que fos becutz
11 e·l becx fos loncx e agutz,
12 que·l corns es fers, laitz e pelutz
13 e prion dinz en la palutz,
14 e anc nul jorn no estai essutz,
15 per que rellent en sus lo glutz
16 c’ades per si cor ne rendutz:
17 e no taing que mais sia drutz
18 cel que sa boch’al corn condutz.
19 Pro·i agra d’azaus assais,
20 de plus bels que valgron mais;
21 e si en Bernatz s’en estrais,
22 per Crist, anc no·i fes que savais,
23 car l’en pres paors et esglais:
24 que si·l vengues d’amon lo rais
25 si s’escaldera·l col e·l cais;
26 e no·s cove que dona bais
27 aquel que cornes corn putnais.
28 Bernatz, ges eu no m’acort
29 al dig Raimon de Durfort
30 que vos anc mais n’aguessetz tort,
31 que si cornavatz per deport
32 ben trobavatz fort contrafort,
33 e la pudors agra·us tost mort,
34 que peiz ol non fa fems en ort;
35 e vos, qui que·us en desconort,
36 lauzatz en Deu que·us n’a estort.
37 Ben es estortz de perilh
38 que retrag for’a son filh
39 e a totz aicels de Cornilh;
40 mielz li vengra fos en eissilh
41 que la cornes el efonilh
42 entre l’esquin e·l penchenilh
43 per on se legon li rovilh;
44 ja non saubra tant de gandilh
45 no·l compisses lo groing e·l cilh.
46 Bernatz de Cornes no s’estrilh
47 al corn cornar ses gran dozilh
48 ab que·l trauc tap el pechenilh:
49 pueis poira cornar ses perilh.
Arnaut Daniel in Dante (Purgatorio XXVI)
1 Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro,
2 ce n’andavamo, e spesso il buon maestro
3 diceami: «Guarda: giovi ch’io ti scaltro»;
4 feriami il sole in su l’omero destro,
5 che già, raggiando, tutto l’occidente
6 mutava in bianco aspetto di cilestro;
7 e io facea con l’ombra più rovente
8 parer la fiamma; e pur a tanto indizio
9 vidi molt’ombre, andando, poner mente.
10 Questa fu la cagion che diede inizio
11 loro a parlar di me; e cominciarsi
12 a dir: «Colui non par corpo fittizio»;
13 poi verso me, quanto potean farsi,
14 certi si fero, sempre con riguardo
15 di non uscir dove non fosser arsi.
16 «O tu che vai, non per esser più tardo,
17 ma forse reverente, a li altri dopo,
18 rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo.
19 Né solo a me la tua risposta è uopo;
20 ché tutti questi n’hanno maggior sete
21 che d’acqua fredda Indo o Etiopo.
22 Dinne com’è che fai di te parete
23 al sol, pur come tu non fossi ancora
24 di morte intrato dentro da la rete».
25 Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora
26 già manifesto, s’io non fossi atteso
27 ad altra novità ch’apparve allora;
28 ché per lo mezzo del cammino acceso
29 venne gente col viso incontro a questa,
30 la qual mi fece a rimirar sospeso.
31 Lì veggio d’ogne parte farsi presta
32 ciascun’ombra e basciarsi una con una
33 sanza restar, contente a brieve festa;
34 così per entro loro schiera bruna
35 s’ammusa l’una con l’altra formica,
36 forse a spiar lor via e lor fortuna.
37 Tosto che parton l’accoglienza amica,
38 prima che ’l primo passo lì trascorra,
39 sopragridar ciascuna s’affatica:
40 la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
41 e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife,
42 perché ’l torello a sua lussuria corra».
43 Poi, come grue ch’a le montagne Rife
44 volasser parte, e parte inver’ l’arene,
45 queste del gel, quelle del sole schife,
46 l’una gente sen va, l’altra sen vene;
47 e tornan, lagrimando, a’ primi canti
48 e al gridar che più lor si convene;
49 e raccostansi a me, come davanti,
50 essi medesmi che m’avean pregato,
51 attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti.
52 Io, che due volte avea visto lor grato,
53 incominciai: «O anime sicure
54 d’aver, quando che sia, di pace stato,
55 non son rimase acerbe né mature
56 le membra mie di là, ma son qui meco
57 col sangue suo e con le sue giunture.
58 Quinci sù vo per non esser più cieco;
59 donna è di sopra che m’acquista grazia,
60 per che ’l mortal per vostro mondo reco.
61 Ma se la vostra maggior voglia sazia
62 tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi
63 ch’è pien d’amore e più ampio si spazia,
64 ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi,
65 chi siete voi, e chi è quella turba
66 che se ne va di retro a’ vostri terghi».
67 Non altrimenti stupido si turba
68 lo montanaro, e rimirando ammuta,
69 quando rozzo e salvatico s’inurba,
70 che ciascun’ombra fece in sua paruta;
71 ma poi che furon di stupore scarche,
72 lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta,
73 «Beato te, che de le nostre marche»,
74 ricominciò colei che pria m’inchiese,
75 «per morir meglio, esperienza imbarche!
76 La gente che non vien con noi, offese
77 di ciò per che già Cesar, triunfando,
78 “Regina” contra sé chiamar s’intese:
79 però si parton “Soddoma” gridando,
80 rimproverando a sé, com’hai udito,
81 e aiutan l’arsura vergognando.
82 Nostro peccato fu ermafrodito;
83 ma perché non servammo umana legge,
84 seguendo come bestie l’appetito,
85 in obbrobrio di noi, per noi si legge,
86 quando partinci, il nome di colei
87 che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge.
88 Or sai nostri atti e di che fummo rei:
89 se forse a nome vuo’ saper chi semo,
90 tempo non è di dire, e non saprei.
91 Farotti ben di me volere scemo:
92 son Guido Guinizzelli; e già mi purgo
93 per ben dolermi prima ch’a lo stremo».
94 Quali ne la tristizia di Ligurgo
95 si fer due figli a riveder la madre,
96 tal mi fec’io, ma non a tanto insurgo,
97 quand’io odo nomar sé stesso il padre
98 mio e de li altri miei miglior che mai
99 rime d’amore usar dolci e leggiadre;
100 e sanza udire e dir pensoso andai
101 lunga fiata rimirando lui,
102 né, per lo foco, in là più m’appressai.
103 Poi che di riguardar pasciuto fui,
104 tutto m’offersi pronto al suo servigio
105 con l’affermar che fa credere altrui.
106 Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio,
107 per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,
108 che Leté nol può tòrre né far bigio.
109 Ma se le tue parole or ver giuraro,
110 dimmi che è cagion per che dimostri
111 nel dire e nel guardar d’avermi caro».
112 E io a lui: «Li dolci detti vostri,
113 che, quanto durerà l’uso moderno,
114 faranno cari ancora i loro incostri».
115 «O frate», disse, «questi ch’io ti cerno
116 col dito», e additò un spirto innanzi,
117 «fu miglior fabbro del parlar materno.
118 Versi d’amore e prose di romanzi
119 soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
120 che quel di Lemosì credon ch’avanzi.
121 A voce più ch’al ver drizzan li volti,
122 e così ferman sua oppinione
123 prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.
124 Così fer molti antichi di Guittone,
125 di grido in grido pur lui dando pregio,
126 fin che l’ha vinto il ver con più persone.
127 Or se tu hai sì ampio privilegio,
128 che licito ti sia l’andare al chiostro
129 nel quale è Cristo abate del collegio,
130 falli per me un dir d’un paternostro,
131 quanto bisogna a noi di questo mondo,
132 dove poter peccar non è più nostro».
133 Poi, forse per dar luogo altrui secondo
134 che presso avea, disparve per lo foco,
135 come per l’acqua il pesce andando al fondo.
136 Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
137 e dissi ch’al suo nome il mio disire
138 apparecchiava grazioso loco.
139 El cominciò liberamente a dire:
140 «Tan m’abellis vostre cortes deman,
141 qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
142 Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
143 consiros vei la passada folor,
144 e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
145 Ara vos prec, per aquella valor
146 que vos guida al som de l’escalina,
147 sovenha vos a temps de ma dolor!».
148 Poi s’ascose nel foco che li affina.